Il monte Carpegna, con i suoi 1415 metri di altezza, è la vetta più alta del Montefeltro.
Il suo vasto altopiano accoglie, in mezzo a un bosco di faggi, una piccola chiesa e un santuario.
Qui, da tempo immemorabile, si venera la Beata Vergine sotto il nome di Madonna del Faggio, rappresentata da un'antica statua lignea in legno di fico con in grembo il bambino. Restaurata di recente, la statua è alloggiata in una nicchia situata sopra l'altare.
Mancano datazioni precise sulle origini del santuario. Le prime notizie certe si iniziano ad avere da alcuni atti notarili del 1205 che parlano di una chiesetta: la cella di Santa Maria del Monte.
IL SANTUARIO
Questa zona dell’Alto Montefeltro affonda le sue radici in un profondo sentimento religioso. Ciò ha caratterizzato, fin dai tempi più remoti, la vita e i comportamenti delle popolazioni locali.
Andando ad aprire l’eremo, lungo la strada che si snoda da Carpegna al Santuario della Beata Vergine del Faggio, mi si presentano spesso scorci d’infinito, tempo che passa scandito da stagioni che mutano e, se mi fermo, suoni e rumori, alternati a canti d’uccelli e silenzi profondi. Per non parlare dei profumi che sono nell’aria o degli incontri improvvisi con gli animali selvatici, come gli scoiattoli che popolano il bosco.
D’inverno anche il vento ha una sua voce e un suo sapore: spesso in primavera la brezza del mare arriva sin quassù. Lo splendore dei prati nel mese di giugno con i suoi fiori, il bianco mantello d’inverno o le foglie d’autunno - un mare di foglie - o la rugiada in alcune notti d’estate, tutto parla di pace e di lode al suo Creatore con le tante persone che visitano il santuario.
Di notte il cielo è più vivo che mai e nell’orizzonte si stagliano le luci della costa. Così puoi vedere San Marino, Rimini e Ancona a un tiro di sasso e poi la luna e le stelle “… clarite e belle”, diceva Francesco.
Sì, qui tutto parla di Dio, dall’umile acqua che scorre silenziosa sul rivo, alla fonte che chiacchiera con i grilli e all’erba, che se la calpesti senza scarpe ti sa accarezzare le estremità, dandoti quella sensazione di libertà che solo il Signore ti può concedere.
La natura è maestra di vita, la più antica
e saggia.
Dai popoli primitivi fino alle civiltà più evolute, tutti hanno
frequentato questa scuola. Oggi, però, l’homo industrialis
preferisce un altro indirizzo.
L'uomo perde l’amore per la natura quando non cerca più Dio,
quando si riempie di un sapere che non è sapienza, quando parla un
linguaggio che manca di carità: quando le conoscenze tecniche
soffocano la poesia e l’arte, egli perde il linguaggio della
natura.
Ma qui… Qui, in questa pace profonda palpabile come l’aria che respiri, la campana grande della Cella annuncia che Maria ha qui la sua dimora, un’umile dimora che ti da il bentornato a casa, poiché questa è la nostra casa, se ci sentiamo fratelli e figli di Dio.
Un brevissimo apologo. Nikos Kazatzakis, scrittore greco scomparso nel 1957, racconta: “Dissi al mandorlo: parlami di Dio/ E il mandorlo fiorì”.
La natura aiuta a ritrovare la bellezza
che è Dio, a riscoprire il senso della propria vocazione e
missione. Invece ciò che è profanato, bruciato, corrotto,
allontana da Dio.
Noi, in questo luogo, dobbiamo chiedere a Maria di parlarci di
Dio; al vento, al sole, alla terra, agli animali, ai compagni di
viaggio di sussurrarci tutte le meraviglie che il signore riserva
e che farà per noi.